«La
mafia non esiste…», è un’affermazione che abbiamo sentito decine,
centinaia di volte: politici, imprenditori, personalità della cosiddetta
‘società civile’ l’hanno sempre pronunciata per allontanare da sé il
sospetto di aver contatti con la mafia. Ma colpisce quando a formulare
questa affermazione è un politico che, invece, tutti sanno avere un
posto di rilievo in quel verminaio che è la zona grigia in cui si
incrociano interessi mafiosi e imprenditoriali e
politico-amministrativi. Potrebbe apparire una affermazione ipocrita, ma
se si analizzano bene le cose non è così; il politico è convinto di
quello che dice: «La mafia non esiste…».
E
allora è necessario intendersi su cosa è la mafia. Se crediamo che la
mafia sia rappresentata dal malavitoso con baffi, coppola e lupara in
spalla chi pronuncia la frase ha assolutamente ragione: «La mafia non
esiste…». Quello stereotipo di mafia è tramontato; oggi per trovare la
mafia bisogna seguire i capitali. E allora ecco che la mafia ha lasciato
il Sud Italia per stabilirsi nel ricco Nord, anche al di là delle Alpi;
nei paesi come la Germania, dove non è ben concepito il metodo mafioso,
rendendo così difficoltosa la lotta al processo di insediamento della
mafia.
Basta,
però, estendere il concetto di mafia ad altre situazioni, ad altri
aspetti della vita di tutti i giorni, ed ecco che la mafia – come per
incanto – appare. La mafia la troviamo dove “girano” i soldi, perché la
mafia è un’organizzazione che mira al controllo criminogeno del
territorio attraverso l’accumulo del capitale. In questo binomio si cela
il segreto dell’insediamento e della penetrazione mafiosa in territori
dove sarebbe logico dire: «La mafia non esiste…». La mafia arriva dove
ci sono i soldi e dove c’è, in qualche modo, bisogno di un certo sistema
che la mafia può garantire; se un territorio è ricco, ecco che la mafia
trova un punto debole per infiltrare il proprio zampino criminale. C’è
qualche imprenditore in difficoltà o con manie di espansione? Ecco che
arrivano “soci” disponibili a favorire lo sviluppo dell’azienda, con
l’apporto di freschi capitali (di cui sarebbe offensivo chiedere la
provenienza) che permettono al capitano d’azienda ben conosciuto nel
territorio di raggiungere i suoi obiettivi imprenditoriali. Di più;
sfruttando il buon nome della propria azienda – rafforzata dai capitali
dei nuovi “soci” – ecco che l’imprenditore riesce a mettersi in luce
presso le pubbliche amministrazioni, realizzando quei sogni promessi in
campagna elettorale dai politici. Pur di farsi eleggere l’aspirante
sindaco ha promesso la costruzione della piscina comunale? Ecco che
l’imprenditore – una volta che l’amministratore amico è stato eletto – è
pronto a realizzarla con fondi propri, scavalcando così lacci e
lacciuoli burocratici e amministrativi, come i vari patti di stabilità
che bloccano gli enti pubblici. Si crea, così, un sistema ben descritto
già negli anni Sessanta da Mario Puzo, autore de “Il Padrino”, dove lo
scrittore italo-americano raccontava di come, agli esordi, Don Vito
Corleone fosse disponibile a concedere favori a chi glieli chiedeva,
creando così una debito di cui però era pronto a richiedere l’incasso
nel momento a lui più favorevole. Una mano lava l’altra; e tutt’e due
lavano la faccia: hai bisogno di soldi per realizzare qualcosa? Lo
faccio io a nome tuo. In cambio, però, devi ricordarti della mia impresa
– e dei relativi “soci”, anche se non li conosci – quando ci sarà da
attribuire quell’appalto, da concedere quel diritto legato alla cosa
pubblica. Non c’è un contatto diretto tra il mafioso e l’amministratore
pubblico; e quindi quest’ultimo può tranquillamente dire: «La mafia non
esiste…».
Anche perché, magari, si è provveduto a creare realtà ad hoc
per triangolare appalti e concessioni, ristrutturazioni e piccole o
grandi opere; è così un gran fiorire di fondazioni, associazioni e –
perché no – cooperative (o presunte tali) che si occupano di eliminare
chirurgicamente e legalmente i legami che, seppure già fatti rimbalzare
tra “soci”, imprenditori e amministratori, potrebbero creare qualche
imbarazzo; e anche un qualche sospetto che, magari, rischia di far
nascere curiosità a qualche buon investigatore. O magari a qualche
rompiscatole di giornalista.
E
ora, quando il meccanismo è ben avviato da anni e anni di “buoni
rapporti” tra imprenditore (e relativi “soci”) e amministratori, volete
che sia un problema far rieleggere l’amministratore amico? Oppure un
proprio sodale su cui lo scaltro amministratore abbia un grande potere
di (diciamo così!) “persuasione” ? È sufficiente far insediare “soci” e
famiglie nei luoghi giusti: e, arrivato il turno delle elezioni
amministrative, il gioco è fatto.
E
allora: «La mafia non esiste…». Non esiste perché non l’amministratore
non la vede, non può vederla per il semplice motivo che essendo parte
del problema, non è in grado di accorgersi del problema stesso: ma la
mafia c’è, anche se non ha baffi, coppola e lupara in spalla!
Si
dice che la mafia sia un cancro che uccide la società; credo che questo
sia è un ottimo paragone, perché una persona inizia a combattere un
cancro, una malattia mortale, solo quando si accorge di esserne
ammalato. Diversamente, non si fa un ciclo di chemioterapia se non c’è
una diagnosi di cancro.
Si
può però fare prevenzione, evitando di avere quella bramosia di potere e
arricchimento che è tipica dei mafiosi, e che permette a questi di
diventare “soci” con imprenditori e – indirettamente – amministratori
colpiti dalla stessa sete di potere fine a se stesso.
Ma
se la malattia raggiunge un livello di gravità così elevato da colpire
tutti gli organi sociali, il cancro scende a cascata dai politici ai
cittadini: agli elettori. Ed ecco che diventa metastasi, colpendo a
morte una società intera.
Allora
oltre a politici, imprenditori, esponenti della cosiddetta ‘società
civile’, anche l’uomo della strada seduto al tavolino di un bar sarà
costretto a dire: «La mafia non esiste…».
E sarà il deserto; anche in riva a un grande fiume.
Articolo comparso sulla Gazzetta di Reggio in forma di editoriale il 28 luglio 2015
Donato Ungaro
Articolo comparso sulla Gazzetta di Reggio in forma di editoriale il 28 luglio 2015
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