Un'autobiografia (di gruppo) che mette al centro un maestro del giornalismo italiano: Giuseppe "Pippo" Fava.
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Mentre l'orchestrina suonava "Gelosia" è la biografia di un gruppo di ragazzi più un uomo maturo; un gruppo di discepoli e un maestro, senza retorica. Il libro scritto da Antonio Roccuzzo racconta cos'era Catania tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta; una Catania, quella raccontata dalle pagine del Giornale del Sud prima a da quelle de I Siciliani poi, di cui si poteva scorgere un vero e proprio 'saccheggio' consumato ai piedi dell'Etna, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando centomila nuovi abitanti arrivarono in città chiedendo case e lavoro, con imprenditori di pochi scrupoli che non esitavano a mettersi in combutta con la politica cittadina per costruire e cementificare.
L'uccisione di Fava per mano di Cosa Nostra sarà uno spartiacque per la vita dei ragazzi, dei carusi di Pippo Fava; qualcuno vorrà mollare tutto, qualcun'altro chiederà di andare avanti. A decidere del futuro del gruppo saranno dei ragazzi che arriveranno in redazione, per offrirsi di aiutare nel proseguio di quella lotta civile di cui Fava aveva suonato la carica, instradando i suoi ragazzi a guardare in faccia i mafiosi; per poterli riconoscere, con coraggio e dignità.
Niente di strano, quindi, se all'inizio del Terzo Millennio Roccuzzo, appena trapiantato a Reggio Emilia a fare il capo-servizio alla Gazzetta di Reggio, si ritrova davanti una situazione che può ben conoscere: per averla già vista a Catania, vent'anni prima.
Certo, non è più Cosa Nostra, quella che ha preso a costruire nella Città del Tricolore (e provincia); si chiama 'ndrangheta la criminalità organizzata che Roccuzzo si trova a fronteggiare dalla redazione sulla circonvalazione di Reggio Emilia. E un giorno, proprio davanti alla redazione reggiana, lo aspetta un uomo: "E' lei quel Roccuzzo che ce l'ha coi calabresi?", gli chiede. Roccuzzo lo manda a quel paese, in siciliano; e quello è stato il suo approccio con i Grande Aracri, cosca di 'ndrangheta che oggi, proprio oggi, è alla sbarra in tribunale a Reggio, a seguito dell'Operazione Aemilia.
Un'operazione che Roccuzzo, da giornalista siciliano abituato a certi linguaggi, aveva già subodorato ben prima che forze di polizia e magistratura iniziassero a cercare di fermare i traffici criminali, con la politica che - nella terra dei Fratelli Cervi - pensava di poter fare affari con imprenditori vicini alle cosche. Roccuzzo parlava di mafia quando quella parola non poteva neanche essere pronunciata, lungo la Via Emilia.
E oggi sappiamo che non è così; che Antonio Roccuzzo aveva ragione; il suo non era un vuoto "Al lupo, al lupo". Era un avvertimento che sarebbe bastato non prendere sottogamba; e oggi a Reggio Emilia e provincia (forse) non saremmo a leccarci le ferite lasciate da un trentennio di presenza indisturbata della 'ndrangheta. Ma così non è stato.
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Donato Ungaro
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