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La professoressa Stefania Pellegrini, direttrice del Master. |
È intitolato a Pio La Torre il
Master di II livello dell'Università di Bologna, nel corso del quale
professionisti e operatori studiano la “Gestione e il riutilizzo di
beni e aziende confiscati alle mafie”. Quella iniziata nelle scorse
settimane è la sesta edizione del percorso formativo post-laurea; ed
è la più longeva e qualificata “scuola” che sforna una nuova
frontiera di esperti che – a vario titolo – si confrontano con
una situazione che anche nell'Emilia Romagna e nel Nord Italia in
generale, deve fare i conti con una nuova realtà: i beni sequestrati
e poi confiscati alle mafie. Il Master intitolato al sindacalista e
politico Pio La Torre, componente della Commissione
parlamentare anti-mafia e relatore della proposta di legge che
modificò il Codice penale introducendo l'associazione mafiosa e la
confisca obbligatoria dei beni della criminalità organizzata, è di
fatto una rielaborazione di quella «...linea della palma...» tanto
cara a Sciascia; se è vero, come diceva lo scrittore di Racalmuto,
che la mentalità mafiosa già negli anni Sessanta stava risalendo
verso il Nord, portando oltre la Linea Gotica Cosa Nostra,
'ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita, ecco che oggi
all'Università di Bologna si possono formare coloro che sono
chiamati – ognuno per la propria competenza – a mettere in
pratica gli strumenti previsti dalla normativa in materia di
aggressione dei beni mafiosi che a partire dalla legge Rognoni-La
Torre del 1982, si è evoluta sino alla recente riforma del Codice
Antimafia, emanata nel novembre 2017.
Ne abbiamo parlato con la
professoressa Stefania Pellegrini, direttrice del Master che attira
sotto le Due Torri commercialisti e avvocati, poliziotti e
cooperatori, giuristi e tecnici, pubblici dipendenti e professionisti
impegnati nel terzo settore.
Professoressa Pellegrini,
partiamo da un esempio concreto: un anno fa, al processo Aemilia,
testimoniò Federica Zaniboni, commercialista e amministratrice
giudiziaria incaricata di gestire alcuni beni sequestrati nel
processo contro la 'ndrangheta “emiliana” dei Grande Aracri, tra
cui il ristorante Millefiori, di Montecchio Emilia. La professionista
spiegò in aula che non è possibile gestire un ristorante del genere
in maniera lecita. È così?
«Purtroppo è così; almeno in linea di massima. Le aziende legate a
un contesto mafioso possono contare su una serie di canali
“privilegiati”, protetti, finanziati dalla criminalità
organizzata. Non hanno necessità di ricorrere al credito bancario,
ad esempio, ma anzi investono capitali illeciti per riciclarli; sono
spesso aziende nate per ripulire i soldi delle mafie. Ma ci sono
altri “vantaggi” su cui possono contare le cosche: il personale
non viene pagato regolarmente, le autorizzazioni di vario genere per
la gestione dell'attività spesso non vengono richieste, i fornitori
possono essere “preordinati”, controllati. Tutti questi privilegi
su cui le criminalità organizzate possono contare determinano poi un
tesoretto che può essere riutilizzato per atti di corruzione o per
altri illeciti. Questo chiaramente rende privilegiata un'azienda
gestita in questo modo. Nel momento in cui entra la gestione
giudiziaria, si innesca un meccanismo che porta all'emersione
dell'illegalità; e i costi di questa emersione pongono fuori mercato
l'azienda, rendendone la gestione molto difficile».
Il Master “Pio La Torre” è
rivolto anche a tecnici, ingegneri, architetti, geometri che sono
chiamati a valutare queste aziende...
«Il corso è rivolto a varie figure professionali perché si occupa
del percorso di riutilizzo del bene partendo dalle indagini
patrimoniali fino al riutilizzo del bene immobile o alla
riorganizzazione dell'impresa, passando per la gestione. Il bene
viene seguito dall'individuazione da parte delle forze dell'ordine
fino a quando viene rimesso nel contesto sociale; o quando l'azienda
viene rimessa sul mercato nel rispetto dei parametri della legalità.
Per far ciò sono necessarie le più ampie professionalità; stanno
ad esempio aumentando gli esponenti delle forze dell'ordine che
eseguono le prime formalità, senza poi seguire le fasi successive. È
molto importante che tutti i professionisti coinvolti conoscano
l’iter completo della procedura. Commercialisti e avvocati vengono
da noi per comprendere meglio come gestire immobili e aziende.
Tecnici ed esperti in materia ambientale per comprendere il valore.
Il Master è dedicato a tutti coloro che gestiscono il bene, ma
interessa anche tutte quelle figure accessorie che sostengono gli
amministratori; servono, ad esempio, consulenti specifici del
settore. Si pensi a un ristorante; il commercialista valuta i libri
contabili – da cui esce un mondo – ma serve la capacità di
riscoprire una nuova vita imprenditoriale per l'impresa. Il nuovo
codice anti-mafia è sensibile; prevede una doppia nomina, con due
competenze diverse, per permettere loro di lavorare in maniera
coordinata. Serve fantasia, ma soprattutto professionalità».
Ma rischia di essere una
battaglia persa? Come si può far rientrare nel rispetto della
legalità un'azienda che è stata dopata da fondi illegali?
«Non è una battaglia persa; il nuovo Codice anti-mafia prevede dei
fondi, un “Fondo di rotazione”, già stanziato con la Legge di
stabilità, che prevede un fondo di dieci milioni di euro per le
aziende interessate dal fenomeno. Quindi gli amministratori possono
contare su un elemento importante. Qui a Bologna, inoltre, abbiamo
sottoscritto con il Presidente del Tribunale, Francesco Caruso, un
Protocollo che agisce a livello territoriale per sensibilizzare gli
attori sociali di un determinato territorio per fornire competenze,
consulenze e anche risorse economiche e intellettive, di persone che
ci mettono la testa e le idee per capire una progettualità. Il bene
viene preso in carico dal territorio su cui insiste il bene stesso,
così non si lasciano soli il giudice delegato e l'amministratore
giudiziario, che possono fare affidamento su questi soggetti che si
sono messi a disposizione per rendere efficace il riutilizzo del
bene, un riutilizzo che deve anche essere immediato. Un'azienda non
può rimanere chiusa, perché diversamente il rischio del fallimento
è altissimo».
Facile immaginare che la
gestione di un bene immobile sia diverso rispetto all'azienda; un
conto è assegnare a un'associazione un appartamento per realizzare
una sede, un conto è gestire un'impresa.
«Sono difficoltà diverse; a Pianoro, sulle prime colline bolognesi,
una serie di villette è stata confiscata mentre non erano ancora
terminate. Sono rimaste molto tempo senza infissi e questo ha
determinato un importante deterioramento dell'immobile, che ha reso
complicato il suo riutilizzo. E poi c'è il problema del vandalismo
che viene attuato prima della consegna dell'immobile. Inoltre, tanti
immobili vengono abbattuti perché ci sono dei livelli tali di
irregolarità, urbanistiche e non solo, che rendono antieconomico
l'adeguamento; adeguamento che a volte non può neanche essere
eseguito, come le costruzioni costruite in ambiti protetti, non
edificabili. In questo caso, il Fondo di rotazione di cui parlavamo
prima non c'è, in quanto è previsto solo per le imprese. Esiste
però, in Emilia Romagna, un fondo messo in campo dalla Regione, che
con il Testo unico Giustizia prevede dei fondi per i Comuni che li
richiedono, per ripristinare i beni immobili. Purtroppo però, anche
qui da noi, molto spesso gli enti pubblici non avanzano le richieste;
e l'assessore regionale Massimo Mezzetti, che si occupa di Legalità,
sollecita continuamente il riutilizzo di questi beni, perché hanno
oltre a un valore economico, un altissimo valore simbolico e
sociale».
Questo è il sesto anno
accademico per il vostro Master; cos'è cambiato nel corso degli
anni?
«Tutti gli anni abbiamo classi diverse; un elemento che ci sorprende
positivamente è l'eterogeneità degli iscritti. Abbiamo avvocati,
agronomi, soci di cooperative; tutti vogliono capire come
strutturarsi per gestire la parte di loro competenza, relativamente
al tema trattato. Un aspetto che ci caratterizza, è la provenienza
dei discenti; vengono da tutta Italia. Del resto, nel panorama
nazionale, il nostro Master è l'unico che si occupa di una
panoramica generale su queste tematiche».
Com'è cambiato il tema, almeno
nel Nord Italia?
«Cambiando i contesti, rispetto al Meridione; cambiano le tematiche
e gli strumenti. Possiamo vantare collaborazioni con docenti di
altissimo livello, con realtà determinanti nel settore: Procure,
Tribunali, forze dell'ordine. Il fiore all'occhiello di questo Master
sono i docenti, che sono i massimi esperti nei propri ambiti; abbiamo
amministratori giudiziari che hanno trattato temi molto importanti,
come Mafia Capitale, il Porto di Ostia, Lidl, Fiera Milano, Tnt. La
caratterizzazione particolare del Nord, rispetto al Sud, è che
servono altri strumenti; ad esempio, Fabio Roia che è Presidente
sezione misure patrimoniali del Tribunale di Milano, ha introdotto
uno strumento molto interessante, l'art. 34 del Codice anti-mafia. In
questo caso parliamo di aziende “contaminate”, ovvero grandi
aziende, anche multinazionli, in cui solo le “diramazioni” locali
possono aver avuto connessioni con la criminalità organizzata. La
Tnt non è stata confiscata nella sua interezza, a livello nazionale,
ma su Milano si è intervenuti sulla realtà territoriale, sulle
filiali. Si è attuato un controllo giudiziario, un affiancamento che
ha permesso di riportare in carreggiata la gestione dell'azienda.
Altra situazione è quella illustrata nel corso del Master dal
Procuratore di Asti, Alberto Perduca, che ci porta in una dimensione
europea; abbiamo strumenti giuridici che possono essere “esportati”
anche al di fuori dei confini. È cambiata la professionalizzazione
dei docenti; non abbiamo più magistrati del Sud che portano le loro
esperienze, ma professionisti del Nord che hanno caratterizzazioni
specifiche e una visione che supera i confini nazionali. L'art. 34 è
un'operazione “chirurgica”, che per certi aspetti può essere
portata in altri paesi europei».
Uno dei grossi problemi della
colonizzazione della mafia al Nord, della 'ndrangheta soprattutto, è
rappresentato dai cosiddetti “colletti bianchi”, quei
professionisti che si mettono a disposizione della criminalità
organizzata.
«I professionisti hanno
responsabilità enormi per quanto riguarda l'espansione della
criminalità organizzata al Nord. Però hanno anche un ruolo
importante perché si possono mettere a disposizione della legalità,
mettersi loro stessi a disposizione – senza inventarsi nulla perché
lo prevede la Costituzione – divenendo un presidio di legalità.
Serve recuperare spazio. Nel momento in cui recupero un bene
sottraendolo al controllo della criminalità organizzata, recupero
una parte di territorio che era stato occupato dalla criminalità
organizzata».
Un corso di studio del genere
non poteva che intitolarsi a Pio La Torre; ci spieghi perché.
«Pio
La Torre è il punto di riferimento di tutta la legislazione
anti-mafia. Ha fatto un percorso personale importante; è partito
dalle campagne per arrivare a un livello politico centrale. Dobbiamo
a lui il 416bis,
con l'introduzione della confisca obbligatoria dei beni dei mafiosi.
Era lui, insieme al Prefetto Dalla Chiesa, a sostenere che la
criminalità organizzata andava colpita nei patrimoni e nelle
ricchezze. Pio La Torre è colui che disse che la mafia è questione
di classe dirigente».
Donato Ungaro
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