
Lo
ammetto: il mio dizionario è vecchio. E la parola bullismo
non è presa in considerazione. Probabilmente, nel 1979, i bulli
rientravano in altre definizioni. E allora ho deciso di compiere una
scelta tra i sinonimi del termine contemporaneo bullismo: arroganza,
impertinenza, insolenza, irriverenza, maleducazione, prevaricazione,
sfrontatezza, spacconeria, spavalderia, strafottenza, violenza.
Sono due i termini che in questo elenco mi hanno colpito: Prevaricare
e Arroganza.
Arroganza:
s.f.
opinione esagerata dei propri meriti, presunzione; asprezza dei modi.
SIN: tracotanza,
alterigia, insolenza, iattanza.
Perché
ho compiuto questa scelta? Perché mi sembra che proprio dall'unione
delle due definizioni si ottenga quel concetto che oggi definisce la
parola Bullismo.
Un bullo è un soggetto che forte di un'opinione esagerata dei propri
meriti (o della propria forza) esce dai limiti dell'onestà e del
giusto, utilizzando un'asprezza dei modi che lo rende – appunto –
un bullo.
Oggi,
quando parliamo di bullismo, pensiamo ai ragazzi delle scuole di ogni
ordine e grado; se rimettiamo il calendario a quel 1979 in cui è
stato stampato il mio Garzanti,
parlando di un termine futuribile come bullismo, poteva venire in
mente il servizio di leva e gli scherzi anche molto pesanti che
venivano compiuti nelle caserme, dai commilitoni più anziani e
vicini al congedo: i cosiddetti “nonni”,
da cui discendeva il nonnismo.
E cos'avevano (cos'hanno) in comune il bullismo
attuale
e il nonnismo
di un tempo, se non il fatto che sono pratiche di gruppo?
Quindi
il bullismo
è un forma di comportamento “sociale” che si concretizza con un
atto, o una serie di atti, in grado di determinare la sottomissione
fisica e psicologica di una persona o di un'altra componente sociale.
Parliamo di bullismo riferendoci a forme di “ghettizzazione” di
soggetti per qualche motivo considerati deboli: per appartenenza a
minoranze, per essere di altro genere, per una minorazione fisica e
della personalità, per una debolezza fisiologica, per rappresentare
una differenza. E l'atto di bullismo si compie attraverso gesti di
prevaricazione che possono contemplare l'uso della forza fisica;
oppure della superiorità data dall'appartenere a una presunta
maggioranza. E nell'era di Internet, dobbiamo considerare anche il
cosiddetto Cyber-bullismo,
quell'uso dei mezzi tecnologici per raggiungere gli stessi scopi del
bullismo tradizionale: compiere una prevaricazione nei confronti di
un soggetto convincendolo della sua inferiorità, dimostrandogli la
propria debolezza. Lo scopo si ottiene con diversi modi,
proporzionati all'età dei bulli e dei “bullizzati”; va bene per
raggiungere lo scopo una qualsiasi forma di violenza fisica o di
violenza psico-tecnologica.
E
i “grandi”? Sono immuni gli adulti da forme di bullismo?
No,
non lo sono. Ma il “bullismo” adulto si chiama in altri modi. In
tanti modi a voler ben vedere; ma trattando di temi mafiosi, corre
l'obbligo di provare a tessere un legame tra il bullismo e la
criminalità organizzata. E lo faccio con un servizio della
Televisione Svizzera per l'Italia TvSvizzera.it, di Cristina
Gobbetti
e Riccardo
Franciolli,
in cui un collaboratore di Giustizia con alle spalle un passato da
appartenente alla 'ndrangheta
racconta la sua infanzia da giovane d'onore,
un termine gergale che definisce chi nasce in una famiglia di
'ndrangheta,
con già sulle spalle un'eredità che difficilmente può rifiutare.
Quest'uomo si chiama Luigi
Bonaventura
e parlando della sua infanzia da bambino
soldato,
che già prima dei dieci anni maneggia armi non_giocattolo, racconta
di come si affermava già da ragazzino nei confronti dei suoi
coetanei: «...arrivavo
nei quartieri e domandavo, nei quartieri, chi comandava. Sai, i
bulletti di quartiere, no? Allora lo picchiavo; lo picchiavo e dopo
che l'avevo picchiato gli dicevo: “adesso comando io”. Ecco,
questa è
mafia e io non sapevo che fosse mafia...».
Arrivati
a questo punto, sentite le parole di Bonaventura,
siamo in grado di far capire ai “bulletti di quartiere” che
quello che loro stanno compiendo è il primissimo passo verso una
carriera che rischia di portarli, da adulti, a uscire
dai limiti dell'onesto e del giusto?
per dirla con il mio vecchio Garzanti.
Siamo tutti coscienti che il ragazzino bullo di oggi, un domani
rischia di essere ricompreso in una classifica che va dal cittadino
eccessivamente spregiudicato al boss
mafioso?
Ma
soprattutto, siamo coscienti che il primo ad avere seri problemi di
personalità è il bullo? Di conseguenza, nell'affrontare la
situazione e nel denunciare i fenomeni di bullismo, l'aiuto deve
essere fornito a tutti gli attori del processo: bulli e “bullizzati”.
Perché sono facce della stessa medaglia.
Perché
sono “fenomeni mafiosi” primordiali di cui non dobbiamo aver
paura. Perché è un attimo dire: «Il
bullismo non esiste».
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