Comunicazione: s.f. l'atto del comunicare; il mezzo per
cui si comunica; la cosa comunicata; – telefonica,
collegamento, conversazione; – telegrafica, collegamento,
dispaccio.
Cerchiamo di essere chiari: la mafia, la criminalità organizzata ha
bisogno della comunicazione. Anzi, a voler essere più precisi, la
mafia È comunicazione!
Se riuscissimo a interrompere il flusso comunicativo che è
perfettamente architettato, realizzato e sfruttato dai mafiosi di
ogni forma di criminalità organizzata, lo Stato potrebbe finalmente
dire di aver fatto uno dei passi più importanti verso l'obbiettivo
di sconfiggere le mafie.
La
comunicazione
è quanto di più naturale per l'uomo, ma anche il mondo animale non
ne è esente; così come il mondo vegetale. Gli animali posti alla
base delle varie catene alimentari che si difendono attraverso la
tossicità delle loro carni, “indossano” colori sgargianti: i
predatori sono avvertiti. E i funghi? Anche se questi “esseri
viventi” possono essere per certi aspetti considerati un anello di
collegamento tra il mondo vegetale e il mondo animale, provate a
pensare al classico fungo delle fiabe; quello con il gambo bianco e
la cappella rossa piena di puntini bianchi: l'Amanita
phalloides.
Tutti noi – e gran parte degli abitanti del bosco – sappiamo che
è velenoso; e quindi lo lasciamo vivere in pace, permettendo che
compia il suo ciclo naturale. Che è deputato alla riproduzione della
propria specie.
E
per i mafiosi? È la stessa identica cosa. Hanno la necessità di
riprodurre un modello che ricomprenda, oltre ai mafiosi, anche coloro
che alimentano la linfa vitale della criminalità organizzata: il
potere economico e il potere fine a se stesso, in un ciclo vitale
auto-alimentato. E lo fanno attraverso la comunicazione,
che
è l'unica possibilità che hanno per farsi capire, ma anche per
svolgere quel necessario marketing
che
porta alla nascita di un timore reverenziale verso una determinata
categoria.
Che
senso avrebbe mettere una bomba davanti a una serranda se non si
“firma” l'atto comunicativo? Si rischierebbe che dopo un
attentato, dopo un'intimidazione, chiunque potrebbe presentarsi a chi
ha subito l'atto facendo capire che se si vogliono evitare certi
episodi è necessario pagare qualcosa. E anche tra clan
rivali, vale lo stesso principio. Ricordate quello che diceva diceva
Luigi Bonaventura,
l'ex boss
della 'ndrangheta
che ha avuto il coraggio di passare dalla parte giusta della
barricata, dalla parte della legalità? Ne abbiamo parlato trattando
del bullismo: «...arrivavo
nei quartieri e domandavo, nei quartieri, chi comandava. Sai, i
bulletti di quartiere, no? Allora lo picchiavo; lo picchiavo e dopo
che l'avevo picchiato gli dicevo: “adesso comando io”. Ecco,
questa è
mafia e io non sapevo che fosse mafia...».
Bonaventura “comunicava” in maniera chiara e perfettamente
comprensibile, attraverso l'uso della forza, la sua superiorità.
Quindi,
una volta ricevuta la comunicazione,
si può decidere se intraprendere una lotta di resistenza oppure
passare dalla parte di chi subisce: diventando una vittima. Non
chiamo tutti vittima,
perché questa parola risulta quantomeno inadeguata, al limite
dell'offensivo per chi decide di ribellarsi attraverso la resistenza
alla mafia; l'ho scritto un anno fa, in un 'articolo' intitolato:
Vittima a chi?
La
comunicazione
mafiosa raggiunge il proprio obbiettivo quando crea vittime –
intese come tali parlando di coloro che accettano di subire
passivamente i soprusi della mafia –, ma se si instaura una
resistenza, se si passa al contrattacco, si mette in atto una
contro-comunicazione.
Un atto intimidatorio, un messaggio mafioso – che sia un
avvertimento o una busta coi proiettili – fallisce se non crea
paura.
Ma
non tutti gli “avvertimenti” sono mafiosi; un medico che avverte
di una precauzione da adottare per salvaguardare la nostra salute,
non rientra nel modello mafioso. Un prete, Mario
Frittitta,
che ha celebrato una messa in suffragio del boss
Tommaso
Spatara
e che, intervistato da Salvo
Palazzolo,
dice: «...stia
attento come parla, perché altrimenti lei la paga... perché il
Signore fa pagare certe cose...»
rientra nell'ambito della comunicazione
che – visto che non risulta chiaro se il ...Signore...
a cui si rivolge sia lo stesso del Crocifisso – possiamo dire
essere mafiosa? Se volete ascoltare le parole del sacerdote, il tono
del sacerdote, collegatevi alla pagina del programma di RadioRai
“Italia sotto inchiesta” di Emanuela
Falcetti,
puntata del 15 marzo 2019.
Cosa
pensano i fedeli di un prete che compie certi atti? Come si porranno
i parrocchiani nei confronti degli esponenti della famiglia Spatara?
Se un rappresentante di una istituzione come la Chiesa usa certe
attenzioni per una persona che dovrebbe essere scomunicata?
Ho
già scritto che per le intimidazioni va bene sia il tritolo che la
carta bollata; per la comunicazione
mafiosa è ancora più terribile, quando usa uno strumento di Fede.
Si rischia che meglio di coppola e lupara, siano abito talare e
ostensorio.
Nessun commento:
Posta un commento