Solidarietà: s.f. 1 l'insieme dei legami
affettivi e morali che uniscono gli uomini tra loro e li spingono
all'aiuto reciproco. 2. appoggio,
aiuto nelle difficoltà.
Perché questa parola, collegata
alla criminalità organizzata? Per diversi motivi, il primo dei quali
è che la “sollecitazione”, l'ispirazione, mi è stata
indirettamente suggerita da una persona che ho incontrato a Ravenna,
lo scorso 21 marzo, durante una manifestazione contro le mafie e in
ricordo delle vittime innocenti della criminalità organizzata. Si
parlava di un noto personaggio che – contattato telefonicamente
dalla mia interlocutrice – si dimostrava molto affranto. Nonostante
gli sforzi consolatori di questa attivista antimafia, il personaggio
continuava a ripetere: «Va
bene la solidarietà, ma poi a processo ci vado io...»;
e davanti a giudici, pubblici ministeri e avvocati l'uomo si sentiva
solo: nonostante l'ampio eco sulla stampa che aveva avuto il suo
caso.
È
vero; quando si viene denunciati – giusta o temeraria che sia la
querela – davanti al giudice si è soli. E prima ancora di andare
davanti al collegio giudicante, bisogna fare un percorso di studio
della causa; con avvocati, con conoscenti e amici, con parenti che
devono essere informati dei fatti. Si devono cercare testimoni a
proprio favore, ricostruire i fatti che sono oggetto della denuncia,
riaprire vecchie ferite e scartabellare nella polvere dei cassetti
alla ricerca di documenti oramai dimenticati. Non è una cosa che si
fa a cuor leggero; è un percorso doloroso, che porta a rivedere i
propri comportamenti e atteggiamenti, nel timore di trovare un
elemento che possa avvalorare la tesi accusatoria di chi ci ha
denunciati. È un esame di se stessi profondo, che scava in noi e ci
indaga con occhi diversi; provocando straniamento verso il noi
di allora, che è altro rispetto al noi
attuale. Ma non è finita; bisogna convincere gli avvocati che la
propria visione del fatto è corretta, con la costante paura che il
legale possa dire che certo, in linea logica il ragionamento è
giusto, ma di fatto si configura una qualche violazione a un cavillo
penale di cui ignoravamo, in perfetta buona fede, l'esistenza.
E
la solidarietà?
Non vale per tutto questo ragionamento; possiamo avere intorno a noi
tutta la solidarietà
del mondo, ma a compiere gli atti del percorso di avvicinamento
all'udienza ci troveremo da soli. E ancora più soli saremo davanti
al giudice. La solidarietà
può essere rappresentata da un sostegno economico per fronteggiare
le spese che necessariamente incontreremo per difenderci da un'accusa
infamante. La solidarietà
si concretizza con le persone che fuori dal Tribunale attendono
l'esito dell'udienza, incrociando le dita e stringendoci le mani al
momento dell'ingresso in aula.
La
solidarietà
può essere quindi pratica e concreta; e sostiene sul piano
materiale. Oppure è spirituale ma si ferma sempre fuori dall'aula.
Esiste, invece, una solidarietà
che per certi aspetti è più importante della pacca sulla spalla e
del bonifico bancario: la dimostrazione di stima.
È
la dimostrazione della stima l'elemento fondamentale per far sentire
che comunque le persone che ci sono intorno si fidano di noi. Se
qualcuno mi accusa di un fatto infamante – cosa tipica della
“difesa” mafiosa – ho bisogno che chi mi è vicino dimostri
concretamente che non dà credito alle parole infamanti che girano
alle mie spalle, alle frasi vergognose inserite nella querela
depositata e che mi hanno portato a dover organizzare la difesa,
mettendomi in discussione con ricordi e ferite.
La
vera solidarietà
è la dimostrazione della propria stima, della propria fiducia; solo
così chi è in difficoltà potrà sentire che non sta combattendo
per difendere se stesso, ma per difendere coloro che si fidano di
lui: il sentimento di coloro che lo stimano. La difesa uscirà del
“soggettivo” e dall'individualismo, per riconoscere la
“oggettività” del proprio operato. Parlando di mafie, la vera
solidarietà
è la gratitudine per coloro che hanno messo l'interesse comune
davanti all'interesse privato; è l'ammirazione per coloro che si
sono sacrificati, sapendo quello che rischiavano, per provare a
tutelare una comunità assetata di desiderio di Giustizia. È la
comprensione dello sforzo compiuto, la vera solidarietà.
È la coscienza che non si voltano le spalle a chi ha avuto la forza
e il coraggio di combattere in nostro nome.
Solidarietà non può essere
concedere qualcosa che ci
avanza, come cinque o
cinquanta o cinquecento euro nel portafogli; solidarietà
è comprendere lo sforzo fatto da una persona e il relativo prezzo
pagato sul piano morale e civile. Solo una volta che si è compreso
quel “prezzo”, ci si rende conto che non c'è cifra che possa
monetizzare quello sforzo.
Ecco cosa vogliono le persone in
difficoltà, che si capisca ciò che hanno fatto; che si comprendano
i risultati che hanno ottenuto per gli altri prima che per loro.
Questa è solidarietà.
Questo è legame affettivo
e morale. L'opposto di
una gran brutta parola: indifferenza.
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