Confondere,
v.tr.
[coniugato
come fóndere]
1.
mescolare insieme disordinatamente 2.
scambiare
per errore: hai
confuso il mio cappello col tuo 3.
imbrogliare, far perdere il filo; umiliare, mortificare: – le
idee a qlcu.; –
l'imputato con pesanti
accuse . SIN. Turbare,
imbarazzare, disorientare ||
-ersi.
v. rifl
pronominale turbarsi,
perdere il filo, smarrirsi.
È
appena passato il 25 Aprile, caratterizzato – forse quest'anno come
non mai – dallo scontro tra chi ritiene la Festa della Liberazione
una tradizione superata (...un
derby tra comunisti e fascisti...)
e chi invece vuole celebrarla proprio per il rischio di una rinascita
del nazi-fascismo.
Non
voglio entrare nelle declinazioni politiche dell'uno o dell'altro
fronte; non è compito mio e non ne avrei probabilmente la capacità.
Voglio
invece provare a introdurre nel discorso una visione che potrebbe
avere analogie con la lotta contro le mafie: il confondere
l'avversario. Mi spiego: chi paragona il 25 Aprile a un derby,
sostiene che certe forme di dittatura non possono riaffacciarsi alla
Storia. Chi invece parla di rinascita del nazi-fascismo addita come
esempio di questa possibilità esecrabili manifestazioni rievocative
che tentano di ridare un significato a valori e tradizioni che
l'Italia repubblicana ha bollato come illegali.
Un
esempio? Lo scorso 6 aprile, a Vidiciatico – sull'Appennino
bolognese – alcune persone hanno vestito le divise delle SS.
Immediatamente sono scattate le indagini, con l'iscrizione nel
registro degli indagati e la perquisizione delle abitazioni, con il
sequestro di materiale tedesco risalente alla Seconda Guerra
Mondiale. Gli indagati sono poi stati riconosciuti come esponenti di
formazioni politiche di estrema destra.
Ma
se invece andiamo a pranzo in una trattoria fuori mano e troviamo
esposti i cartelli e le bottiglie di vino con la foto del Duce? È
successo pochi giorni dopo Vidiciatico, alla collega Ester Castano,
la quale ne ha scritto un post
che ha pubblicato su Facebook: «...qui
vengono spesso poliziotti e carabinieri, e mi hanno detto che non è
reato...»,
ha risposto l'oste a cui Ester ha espresso il suo sentirsi offesa per
veder esposto in un locale pubblico quel cartello.
Quindi
si può dire che se “tornano” i nazi-fascisti siamo in grado di
riconoscerli solo se indossano le divise delle SS: e scattano le
indagini. Ma se invece troviamo in un'osteria la faccia di Mussolini,
la possiamo confondere
per una sorta di italica goliardata, con poliziotti
e carabinieri
che certificano che non è reato esibire certi oggetti in pubblico.
Ma
se è così che funziona, per considerare come mafioso una persona,
dobbiamo vederla con la divisa del mafioso? Con la coppola e la
lupara? Diversamente, se l'evoluzione sociale ha determinato un
cambio di comportamento e di abbigliamento da parte degli
appartenenti alla criminalità organizzata, corriamo il rischio di
confondere
un mafioso per una brava persona?
Non
è tanto banale, la faccenda; perché così rischiamo di dare fiducia
e magari potere al mafioso che gioca proprio sulla capacità di
confonderci.
Ha saputo adattare il proprio aspetto esteriore, il proprio
atteggiamento alla situazione che ha deciso di sfruttare; e arriva a
creare una mescolanza disordinata. Arriva a turbare,
imbarazzare, disorientare
le persone con cui viene in contatto. Sembrano proprio persone
normali: come noi, verrebbe da dire.
Il
mafioso di oggi, così come i neo-fascisti, non devono essere
riconosciuti esclusivamente per la “divisa”; il fascismo ha
saputo adattarsi. Così come la criminalità ha saputo mimetizzarsi,
infiltrarsi, colonizzare gli ambienti e la società.
Oggi
abbiamo le stesse probabilità di incontrare per strada Benito
Mussolini e Totò Riina; ma non possiamo pensare che i nuovi
“Mussolini” e i nuovi “Riina” abbiano la faccia e i panni di
quelli originali. Avranno altre fisionomie, altri atteggiamenti.
Essere partigiani oggi non può più dire salire sulle montagne; lo
si può fare anche andando a cenare in centro a Milano. Essere
“operatori della legalità” deve voler dire rifiutare qualsiasi
forma di ingiustizia; piccola o grande che sia. Che sia compiuta nei
nostri confronti o nei confronti di una persona con la quale siamo
venuti in contatto; che sia compiuta da un mafioso certificato da
coppola e lupara, o che sia un professionista in doppiopetto.
Non
possiamo più confonderci;
perché rischiamo di diventare complici. Perché mentre con una mano
ci professiamo partigiani del Terzo Millennio, con l'altra stiamo
magari facendo un piacere alle mafie. E non c'è buona fede nel far
finta di niente; nell'auto assoluzione, nel dire di non aver potuto
fare niente. Perché già il “non far niente” è una colpa. Come
il pensare che è dovere di qualcun altro.
Se
siamo piccoli, potremo fare le cose da piccoli; se siamo grandi,
faremo le cose da grandi. E questo è normale. Ma l'essere
straordinari è far le cose da grandi, rimanendo piccoli.
Non
possiamo confonderci:
né coi fascisti, né coi mafiosi. Altrimenti non saremo mai Liberi.
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