Anti-²:
[dal gr. antì = contro] prefisso usato in parole di origine
dotta per indicare opposizione, contrasto, impedimento
(antidemocratico, antinevralgico, antiaereo).
La
parola antimafia
sembra essere un termine moderno; nei vocabolari più vecchi non era
prevista. E probabilmente già questa constatazione dovrebbe farci
pensare, perché una volta – prima di Capaci e via D'Amelio – la
lotta alla criminalità organizzata era affare di Magistratura e
forze dell'ordine. Dopo gli assassini di Giovanni
Falcone e
Paolo
Borsellino,
qualcosa è cambiato; il padre del pool
antimafia di Palermo, Antonino
Caponnetto,
prese a girare l'Italia per incontrare i cittadini, gli studenti. Da
quegli incontri nacque la coscienza di una possibile opposizione
civica alle mafie; di un contrasto
allo strapotere e alla strafottenza della criminalità organizzata;
nacque l'idea che anche i cittadini potevano essere uno strumento di
impedimento
per Cosa nostra, per la 'ndrangheta, per la Camorra. La parola anti,
da sola, non bastava più; bisognava essere chiari e incisivi. Si
doveva spiegare cosa si voleva combattere; e se l'obbiettivo erano le
mafie, non si poteva che coniare il neologismo che oggi conosciamo
tutti: antimafia.
In
seguito nacquero le varie associazioni antimafia:
da Libera
di don Ciotti
alle Agende
Rosse
di Salvatore
Borsellino.
Dall'associazione Addiopizzo
al movimento Ammazzateci
tutti
e via via tante altre che si sono sviluppate con l'identica
vocazione: opporsi, contrastare, impedire lo sviluppo della
criminalità organizzata.
Molto
spesso, a questo punto, le strade dell'antimafia
sociale si sono incrociate con quelle di Magistratura e forze
dell'ordine, per formare un tessuto su cui lo Stato poteva contare.
Una presa di coscienza e di posizione chiara, senza possibilità di
fraintendimenti: o si è con lo Stato, o si è con la mafia. Punto!
A
cascata, sull'onda emotiva di una definitiva discesa in capo del
mondo civile, molti attori del contrasto alle mafie potevano agire in
un ambito sociale diverso: giornalisti e parroci, politici e
amministratori. La ribellione all'arroganza delle cosche e dei clan
permettevano a cronisti, sindacalisti, sacerdoti di sentirsi meno
soli; meno soli di come erano stati lasciati prima di allora Mauro
De Mauro,
Giancarlo Siani,
Pippo Fava,
Giovanni
Spampinato,
Mauro Francese,
Cosimo Cristina,
Mauro Rostagno,
Peppino
Impastato,
Beppe Alfano
solo per fare alcuni nomi. O i parroci don
Pino Puglisi,
don Peppe Diana,
don Giorgio
Gennaro,
don Peppino
Giovinazzo.
E ancora i sessanta sindacalisti assassinati a partire da Andrea
Raia,
nel 1944; oppure gli amministratori pubblici, tra cui spicca il nome
di Angelo
Vassallo,
il sindaco
pescatore
di Pollica.
Oggi
il mio dizionario quarantenne appare vecchio, senza la definizione di
antimafia;
oggi, a distanza di ventisette anni dalle stragi di mafia, non
possiamo pensare a un giornalismo che non compia un'opera di
contrasto alla criminalità organizzata attraverso la denuncia
giornalistica. O a una Chiesa che non si opponga all'educazione
mafiosa di quartieri difficili e disagiati. A una politica che non
impedisca lo sviluppo e l'arricchimento delle società mafiose.
Esistono
purtroppo delle criminali eccezioni; in tutte le categorie.
Ma
il seme dell'antimafia
civile è oramai germogliato; si è ramificato e ha raggiunto settori
importanti. Nessuno può più dire: non
sapevo!
Nessuno si può dire innocente davanti al tradimento del proprio
dovere: di cittadino e di 'servitore dello Stato'. La coscienza
antimafia
è oramai alla portata di tutti. Chi compie scelte diverse – per
aperta connivenza o per inerzia – è complice: è a sua volta
mafioso.
La
ramificazione dell'antimafia,
però, potrebbe nascondere dei pericoli; potrebbe far nascere dei
dissapori tra associazioni e movimenti. Una competitività e una
iperattività nel tentativo di mettere in ombra quello che
erroneamente può essere assunto come avversario: è questo il
pericolo di un'antimafia
fatta di protagonismi, di piccole e meschine invidie, della ricerca
di un monopolio che è l'esatto contrario dello spirito originario
dell'antimafia.
E
questo sarebbe il male assoluto del movimento antimafia.
A
titolo di esempio, il mio dizionario utilizza la parola antiaereo;
ecco, per fare un parallelo è come se due postazioni antiaereo
iniziassero a spararsi tra di loro, per dimostrare la bravura dei
singoli mitraglieri. Gli unici a trarne vantaggio sarebbero gli aerei
nemici, che supererebbero tranquillamente le linee di difesa.
L'antimafia
ha la missione di far nascere il piacere
del vivere nella legalità; e non può farlo criticando od
ostacolando chi persegue lo stesso obbiettivo, pur attraverso strade
diverse.
Lo
scrivevo nel 2016: “Nell'Italiadei campanili, l'antimafiadovrebbe essere come la Protezionecivile”.
Il
movimento antimafia
deve parlare con un'unica voce: dalle città alle campagne. Perché
la lotta per la legalità non si combatte in una Babele di linguaggi
diversi, ma nella comprensione di un'unica lingua comune.
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