Educare,
v.tr. [io
èduco, tu èduchi, ecc.]
1.
sviluppare le facoltà intellettuali, fisiche e morali dei giovani
secondo determinati principi: – i figli 2.
assuefare;
avvezzare; indirizzare in un determinato fine: – il
gusto,
renderlo più fine 3.
(poet.)
coltivare, far crescere: – una
pianta.
Una
parola meravigliosa, educare;
del tramandare l'educazione.
Perché ha in sé una potenza straordinaria. La forza della
trasmissione di un sapere, di un valore; di un principio, per dirla
con il Garzanti.
Quando
parliamo di educazione,
di educare i ragazzi,
pensiamo a quelle agenzie sociali che sono deputate a trasmettere una
cultura comune a tutti noi: la famiglia, la scuola, la chiesa e
l'oratorio, le associazioni sportive, le più diverse strutture in
cui viene appresa un'arte; come la musica o la danza o una disciplina
sportiva. Queste sono le realtà chiamate a trasmettere istruzione e
conoscenza. Culture.
Ma
oggi le facoltà intellettuali e morali vengono veicolate anche con
altri sistemi: i mezzi di comunicazione di massa. Non pensate ai
giornali, ma provate a osservare i cartoni animati; non sono uno
strumento fortissimo, che può incidere sulla personalità degli
adolescenti? Il Presidente Barack Obama nel 2013 si recò in visita
negli studio's
della DreamWorks
Animation,
dove vengono realizzati prodotti come Shrek,
Z
la formica,
Galline
in fuga
e tanti altri film d'animazione noti in tutto il mondo:
«...Abbiamo
plasmato una cultura mondiale attraverso di voi ...»,
ha detto il Presidente degli Stati Uniti d'America parlando ai
dipendenti del colosso dell'intrattenimento. E dovremmo anche
riflettere sui videogiochi, oltre che sui cartoni animati.
Ecco,
abbiamo scompaginato l'idea di “agenzia educativa”, allargandone
a dismisura le classificazioni. E i film? E le serie televisive? E –
perché no? – la pubblicità? Oggi i giovani sono letteralmente
bombardati da segnali comunicativi, pronti a trasformarsi in
strumenti di assuefazione e “avvezzamento”, che hanno la
potenzialità di indirizzare verso determinati fini. Già; i fini. I
fini educativi, dovremmo dire. Ma chi li decide? Qual è la regola
che rende buono o meno buono un “prodotto educativo”? Può essere
il mercato o l'incasso realizzato? Se è il mercato, non possiamo non
pensare con preoccupazione alla Mano
invisibile
di Adam Smith, una sorta di “provvidenza” che si muove
autonomamente nell'ambito economico.
Ma
allora, se affidiamo l'educazione
al potere economico, cosa diviene l'educare?
Per
ovviare a questa declinazione, che presuppone una eccezione negativa,
ci siamo inventati un termine: maleducazione. Così abbiamo da una
parte la buona
educazione
e dall'altra la cattiva educazione;
la maleducazione, appunto. Ma in questo modo ammettiamo una verità
che è sotto gli occhi di tutti: la trasmissione di principi non è
esclusivamente una trasmissione di principi positivi. L'educazione
può essere anche un'educazione
malvagia.
Ogni
società ha un sistema di trasmissione di valori e principi; anche le
società criminali. Non possiamo parlare di mancanza di educazione;
anzi, le regole a volte brutali, fatali dei clan
rendono l'educazione
mafiosa ben più che ferrea. Chi sbaglia paga con la vita, non con
uno scappellotto.
I
ragazzi che crescono nello sviluppo di facoltà intellettuali,
fisiche e morali fondate sui principi del rispetto degli altri, della
solidarietà e della comunità sviluppano un'educazione
che riconosciamo tutti come tale; ma chi vive nel mito della
sopraffazione, della forza usata come arma per sottomettere gli altri
ai propri desideri, nel culto dell'egocentrismo e
dell'individualismo, non può pensare al bene comune. O meglio, non
può pensare al bene delle persone che sono al di fuori della sua
cerchia di legami. Così si forma il clan,
la banda di cui il più forte si mette al comando sviluppando e
perpetuando i principi di un'educazione
socialmente sbagliata.
Educare
all'educazione;
è questo il senso della trasmissione dei principi. Sviluppare quelle
propensioni che portano i ragazzi a non pensare al bene di una
società ristretta e governata con la forza e con il terrore, ma al
beneficio di un collettività dove il rispetto della libertà altrui
corrisponde alla propria libertà. Una società dove la condivisione
e la partecipazione democratica è il vero obiettivo di tutti; dove
l'impegno del singolo non è portato a veder trionfare il bene
dell'individuo, ma l'interesse della comunità.
Educazione
è comprendere che ogni azione dell'individuo ha una ripercussione
sul carattere sociale del gruppo. Educazione
è sapere che il male fatto agli altri è un danno per la comunità;
anche per l'autore dell'azione dolosa.
Non
è questione di fortuna o di sfortuna; si tratta di essere bravi o
cattivi cittadini. Non è destino, fatalità, circostanza o sorte;
siamo noi che abbiamo in mano la nostra vita e la vita dei nostri
cari, dei nostri figli.
Siamo
noi che abbiamo la possibilità di decidere della nostra educazione.
E che con la nostra esperienza possiamo educare
chi verrà dopo di noi.
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