Onore,
s.m.
1.
buona reputazione acquistata con l'onestà, coi meriti;
rispettabilità, dignità; più genericamente, vanto, gloria: ha
difeso il suo –; perse l' –, si
coprì d'infamia / era una questione d'–,
che riguardava l'onorabilità / da la parola d' – ,
affermare o promettere qlco.
impegnando il proprio onore / parola d'–!,
inter. asseverativa / uomo d'–,
onesto / attento all'– di quella fanciulla,
alla sua verginità / è in gioco il suo –,
prestigio / tener alto l'– della bandiera, della patria
/ l'– della
vittoria è vostro.
Segue...
È
il 2 giugno, Festa della Repubblica. Mi sembra doveroso compiere il
solito ragionamento semantico su una parola che descrive valori che,
proprio oggi, vengono celebrati in diverse declinazioni.
Sul
Garzanti
la definizione della parola onore
è complessa e prende quasi mezza colonna della pagina. Non può
essere un caso; onore
è
una parola semplice e complessa. Un termine che non lascia spazio a
dubbi: buona
reputazione acquistata con l'onestà, coi meriti.
Acquistata deve essere letto col significato “romantico” di
quegli anni Settanta in cui è stato stampato il mio Garzanti,
quando non si attribuiva valore solo al denaro, ma avevano importanza
valori immateriali quali appunto l'onestà e i meriti.
L'onore
rappresenta
uno dei massimi valori umani, che viene riconosciuto a chi non ha
avuto dubbi nel compiere il proprio dovere. Non è vendibile, non è
commerciabile; eppure sembra avere un certo “mercato”,
sembrerebbe essere ambito da uomini che con l'onore
non hanno niente a che fare.
Il
Garzanti
definisce uomo d'onore
l'onesto, ma sappiamo che nella “(dis)onorata società” si
definiscono uomini d'onore
i mafiosi dell'organizzazione, gli uomini a disposizione; coloro che
osservano “...onestamente...”
i dettami criminali di Cosa
nostra,
della 'ndrangheta,
della Camorra,
della Sacra
Corona Unita
e di tutte le altre associazioni criminali. Una sorta di onore
della disonestà; un ossimoro bieco e ignorante, di una società
criminale che utilizza le parole della comunità onesta per
paragonarsi ad essa. Si usa indegnamente la parola onore
così come si utilizzano turpemente simboli religiosi per i battesimi
criminali, per le affiliazioni degli assassini al clan.
Ma
l'onore
è altro; l'onore
è quello degli uomini e delle donne in divisa che oggi, nella
ricorrenza della Festa della Repubblica, portano nel cuore la
rispettabilità,
la
dignità,
il vanto
e
la gloria
–
così come dice il dizionario – dell'appartenenza allo Stato. E
sono pronti a mettersi in discussione, per lo Stato; son pronti a
dare la vita per il proprio Stato.
È
grazie all'onore
che ci ricordiamo dei caduti; di coloro che hanno dato la vita per la
Patria. Chi è stato ucciso nella lotta alla criminalità
organizzata, così come coloro che hanno perso la vita nel tentativo
vittorioso di liberare l'Italia dal dominio nemico: siano essi
partigiani oppure paracadutisti della Nembo, che si immolarono nelle
campagne di Poggio Rusco poche ore prima della Liberazione del 25
aprile.
Non
si può credere che sia lo stesso onore,
quello dei criminali e quello degli eroi normali che hanno fatto
grande l'Italia; la nostra Patria, la Repubblica che oggi
festeggiamo.
È
il coraggio che contraddistingue l'onore
vero; è l'onestà che colora l'onore.
La dignità dell'essere umano è il punto di appoggio dell'onore.
Non può una società criminale – che fa dell'inganno, della morte
e della violenza i propri disvalori
cardine – utilizzare propriamente la parola onore,
che definisce la netta antitesi della criminalità.
I
simboli stessi dell'onore
sono diversamente rappresentati, per i servitori della Repubblica
italiana e i mafiosi. Da una parte abbiamo il Tricolore, dall'altra
le teste di capretto lasciate come avvertimento; dalla parte
dell'onore
troviamo le divise delle forze dell'ordine e delle forze armate, di
là della barricata le proprietà lussuose acquistate con metodi
disonorevoli; dove sono i servitori dello Stato siamo in compagnia di
uomini e donne di cui possiamo fidarci, ma dove vige la “legge”
criminale la fiducia è violenza e arroganza.
Il
senso dell'onore
è il senso dello Stato; della comunità a cui ognuno di noi, con il
proprio lavoro, con il proprio dovere, è chiamato a essere parte
attiva. Parte che costruisce valore e che ne rappresenta il valore.
Nel
1981, Pippo
Fava
scriveva: «...Un
giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la
violenza, la criminalità; accelera le opere pubbliche
indispensabili. Pretende il funzionamento dei servizi sociali. Tiene
continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante
attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un
giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite
umane...».
Questo è onore;
questo è coscienza che il proprio impegno nella società deve avere
l'onore
come unico faro. Altri modi di fare il proprio dovere non esistono; o
meglio, esistono. Ma si chiamano ignavia, viltà, inerzia,
negligenza, indolenza.
E
non c'entrano niente con l'onore.
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