Rispetto,
s.m. 1.
sentimento
di deferenza verso chi riteniamo superiore a noi: nutrire,
provare – per qlcu.; incutere, ispirare – ; parlare con – di
qlcu., di qlco. / i miei rispetti, saluti
rispettosi 2.
sentimento che ci induce a riconoscere i diritti, la dignità di
qlcu. o di qlco.: – di
un luogo sacro; portare – a qlcu., comportarsi
educatamente; mancare
di – a qlcu., offenderlo
/ tenere in –,
farsi
rispettare, tenere a freno con
– parlando,
formula di scusa 3.
osservanza
scrupolosa di ordini, regole, ecc.: –
del codice della strada / zona di –,
quella in cui è vietata o limitata la costruzione di edifici o altro
Segue...
Ho
appena letto (e recensito), con sincero piacere, il libro scritto
“sulla carta” da Giuseppe
Baldessarro
e “sulla propria pelle” da Gaetano
Saffioti:
Questione
di rispetto,
l'impresa di Gaetano Saffiotti contro la 'ndrangheta.
Credo che nessun titolo, nessun libro possa meglio esprimere il mio
spirito quando decisi di dare il via a questa rubrica: Semiotica
mafiosa. L'intenzione era, ed è, quella di ragionare su parole e
termini che possano rientrare in definizioni specifiche; sia che si
usi un linguaggio mafioso, sia che si utilizzi la parola della
Legalità. Il tutto partendo da un vecchio dizionario, il Garzanti
stampato nel 1979, che ci permette anche di vedere come quarant'anni
fa alcune parole fossero utilizzate in termini più “tecnici” e
puri rispetto a ora.
Ma
torniamo a Questione
di rispetto.
L'affermazione indiscutibilmente rappresenta una frase fatta: quante
volte l'abbiamo detta meccanicamente? Eppure, quella frase che dà il
titolo al libro di Baldessarro e Saffiotti non è un caso: “...per
la 'ndrangheta non era questione di soldi, o meglio non sempre lo
era. I clan, gli «amici»,
dovevano dimostrare il controllo assoluto di ogni zolla di terra, di
ogni tavolaccio da carpenteria, su ogni quintale di cemento che
veniva impastato. Per loro era «questione di rispetto»,
in realtà era parassitismo...”.
La
'ndrangheta,
ci spiega Gaetano, aveva bisogno di suscitare rispetto
prima ancora di pensare all'accumulo di ricchezze e potere; perché
il bene materiale passa, ma il sentimento rimane. E il rispetto
lo si ottiene spacciando superiorità a suon di incendi e minacce; si
incute timore per ottenere deferenza, dalla quale discendono diritti
(per i mafiosi) che sono tali non perché riconosciuti da codici e
regolamenti scritti, ma da consuetudini criminali. Non è
l'osservanza scrupolosa di ordini e regole dettate dallo Stato, ma
rappresenta i desiderata dell'anti-Stato; a cui si è soggiogati
perché agisce non tanto su un impianto legislativo, ma in base a
convinzioni e certezze fondate su ricatto e violenza: mancare di
rispetto
a un mafioso significa morte. Punto!
Se
commettiamo un reato, una violazione, sappiamo che arriveranno le
forze dell'ordine; ma queste devono sottostare a regole precise per
sanzionarci. La 'ndrangheta
non ha le regole dello Stato; non si riconosce nella Costituzione che
mette l'integrità e il rispetto
per
la persona al di sopra di ogni cosa.
Eppure
siamo noi che decidiamo di concedere o meno il rispetto
alle persone, alle istituzioni; lo facciamo sempre in cambio di
qualcosa: la serenità per noi e per i nostri cari. Ma se parliamo di
rispetto alle istituzioni, dovremmo parlare anche del riconoscimento
dell'istituzione verso la quale decidiamo di portare rispetto.
Se decidiamo di portar rispetto
alla Legge, siamo semplicemente onesti; se accettiamo di concedere il
nostro rispetto
alla
'ndrangheta
o a qualsiasi altra forma di malaffare, siamo complici. Gaetano
Saffioti per un certo periodo ha vissuto come vivevan tutti, a Palmi;
poi ha capito che il rispetto
che gli veniva “richiesto” era mal riposto; perché gli «amici»
non avevano nessun rispetto
per lui, per la sua famiglia, per la sua azienda, per i suoi
dipendenti.
Era
un rispetto
a senso unico. A cui una persona onesta non può sottostare. E si è
trovato davanti a un bivio, come tutti coloro che prendono coscienza
di una situazione: o esser complice o denunciare. Non aveva
alternativa; perché per una persona onesta non c'è alternativa.
Certo, si potrà obiettare che anche lo Stato non ha rispetto
per chi decide di collaborare. E purtroppo è vero. Ma è questa la
vera chiave: l'aver rispetto
di sé stessi. Prima che l'aver
rispetto
della 'ndrangheta,
prima del rispetto
nello Stato.
Chi
decide di denunciare, lo fa prima di tutto per una forma di rispetto
verso ciò in cui crede; non lo fa per avere in cambio qualcosa.
Perché allora riconosce il meccanismo che alimenta la richiesta
criminale: do
ut des.
Tu mi paghi, e io non ti brucio i camion.
Anche
lo Stato fa così: tu denunci e io ti proteggo. Ma la “molla” che
innesca il meccanismo non è nella ricerca dell'interesse maggiore,
perché allora non si capisce perché scegliere l'isolamento e la
fatica del vivere blindati.
La
decisione è una scelta da Uomini liberi; che han compreso il vero
senso della parola Libertà. Ecco; è una scelta di libertà: è una
Questione
di rispetto.
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